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Rocco Molinari è nato ad Accettura (Matera) nel 1924.

 
Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Napoli ha completato la sua formazione artistica a Firenze.

E’ stato titolare della cattedra di Figura e Ornato presso il Liceo Artistico di Salerno fino al 1989. Attualmente vive e lavora
a Napoli.

Sue opere sono presso Musei, Gallerie e Collezioni d’Arte. Della sua produzione si sono interessati critici d’arte, studiosi, letterati, giornalisti: Dinu Adamesteanu, Paolo Apolito, Fortunato Bellonzi, Massimo Bignardi, Ettore Bonora, Rocco Brienza, Paolo Brezzi, Giovanni Battista Bronzini, Enrico Crispolti, Alfredo di Nola, Francesco d’Episcopo, Emerico Giachery, Marcello Gigante, Massimo Pallottino, Ugo Piscopo, Luigi Lombardi Satriani, Gennaro Bavarese, Nicola Scontrino, Michele Sovente, Angelo Trimarco.

La prima fase della sua attività coincide con la residenza a Salerno e le lunghe soste in Basilicata ed è segnata da un profondo interesse ai rapporti tra arte e civiltà contadina. Le sue sculture in terracotta, raffiguranti appunto la civiltà contadina e la Festa del Maggio di Accettura (www.ilmaggiodiaccettura.it), sono state acquistate dallo Stato e sono esposte presso il Museo Nazionale – Palazzo Lanfranchi di Matera.

Dopo cicli di lavorazione in terracotta la sua ricerca lo ha portato all’uso e alla sperimentazione dei diversi materiali, trasformando radicalmente il suo approccio linguistico e il rapporto con la forma.

Con l’arrivo a Napoli si apre così la seconda stagione, tuttora in svolgimento, connotata dall’uso della materia: marmo, tufo, legno, cemento, plastica, stoffa sono assemblati con altri metalli come zinco, alluminio, reti saldate, maglie intricate di filo di ferro o anche plexiglas.



 

Dietro l’apparente realismo oggettuale emerge una maturità espressiva che ha saputo mettere in relazione gli elementi spazio e tempo, ottenendo risultati estetici di sicura originalità. Il percorso artistico, di creazione manuale e mentale di Molinari non ha mai perso il filo della memoria e il senso delle origini. Negli anni si è manifestato con moduli e connotazioni sempre più vicine alla modernità e alla contemporaneità senza smentire le suggestioni archetipiche o deviare dall’intento narrativo.

Per questo nei cerchi, nei pannelli, nelle tavole del periodo partenopeo la critica sottolinea una “relazionalità”, una “modularità”, una “cineticità” che vengono da lontano, nutrite da memorie che furono del mondo contadino, ma anche ellenico, che si riversarono nelle terrecotte e nei mestieri modellati nel primo periodo da Molinari e successivamente approdate a esiti sicuramente più distanti dalla rappresentazione, dal figurativo, pur essendo questo definito “atradizionale”, “dialettale”.

Allo scopo, ritagli, frammenti, scarti arrugginiti, ceramiche rotte, protesi lignee, residui rinvenuti, opportunamente trattati o inseriti, diventano corpo, oggetto, materia di indagine, scavo e proposta creativa. Con l’immancabile concorso della luce, del colore, di una manualità come di una sensibilità forgiate a tenere insieme spinte antiche e arcaiche – provenienti dal passato, dalle origini e dal modo di sentire la terra – con specificità e astrazioni moderne o decisamente contemporanee.
   
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